venerdì 21 maggio 2010
Addio Blogger.com
La piattaforma Blogger mi ha veramente rotto le scatole. Non ne posso più delle sue stramberie e dell'impossibilità di scrivere i miei post in maniera normale. Non pretendo mica tanto, in fondo. Oggi ho tentato di mettere giù un intervento per tre volte e, dopo l'ennesima cancellazione automatica operata dalla simpatica piattaforma che non consente neanche un "Incolla" da tasto destro, ho deciso di buttare tutto all'aria e trasferirmi in un posto migliore.
Mi farebbe davvero piacere se gli aficionados (sempre che ve ne siano) del blog mi seguissero su: http://astrattifurori.wordpress.com
Sì, la svolta è epocale: passo da una penna che corre a degli "astratti furori" :)
Mi farebbe davvero piacere se gli aficionados (sempre che ve ne siano) del blog mi seguissero su: http://astrattifurori.wordpress.com
Sì, la svolta è epocale: passo da una penna che corre a degli "astratti furori" :)
domenica 16 maggio 2010
sabato 15 maggio 2010
indifferenza civile!

«Il primo problema del Parlamento italiano è la Rete. Da anni vengono sfornati leggi, decreti, progetti, emendameanti per bloccarla. L'accanimento con cui Pdl e Pdmenoelle si occupano di Internet è impressionante. Nell'agenda dei problemi del Paese è prioritaria. L'ultimo attacco alla libertà di informazione e alla Rete è l'obbligo di rettifica nei siti entro 48 ore. I blog vengono equiparati ai giornali con multe di 12.000 euro per infrazione. Tutti i blog sono a rischio chiusura.
Altre volte il blog ha lanciato campagne contro la legge Levi/Prodi o contro la legge D'Alia con successo. Questa volta mi rifiuto. Approvino le leggi che vogliono. Ne pagheranno le conseguenze. Anzi, suggerisco al duo Berlusconi/Bersani di osare di più. Legiferare in modo risolutivo, tombale e chiudere Internet. Io non voglio mettermi a discutere ogni mese con degli idioti internettiani, farei la figura anch'io dell'idiota. Quindi, chiudete, filtrate, oscurate, hackerate. Fate il cazzo che vi pare. Sarete voi a pagarne le conseguenze perché chiudere l'ultima valvola di confronto democratico presenta dei rischi molto alti. La pentola a pressione può esplodere in anticipo.
Il blog comunque rimarrà indifferente alle leggi contro la Rete. Il blog continuerà fino a quando mi sarà possibile. Non è disubbidienza civile. Per disubbidire ci vogliono delle Autorità con la facoltà legittima di esercitare un pubblico potere e in questo Parlamento di condannati, di locatari di abitazioni regalate, di servi nominati dai partiti e non dai cittadini non vedo alcun principio di autorità. Quindi indifferenza civile, non disubbidienza civile, ma a viso aperto, pronto a pagarne le conseguenze. Fate pure 100 leggi al mese per chiudere la Rete, io non le applicherò e se faranno lo stesso i milioni di italiani che scrivono e comunicano in Rete, le vostre leggi diventeranno carta da cesso.»
mercoledì 12 maggio 2010
La libertà è partecipazione informata
«Al Senato la maggioranza cerca di imporre la Legge sulle intercettazioni telefoniche che scardinerebbe aspetti essenziali del sistema costituzionale.
Sono a rischio la libertà di manifestazione del pensiero ed il diritto dei cittadini ad essere informati.
Non tutti i reati possono essere indagati attraverso le intercettazioni e viene sostanzialmente impedita la pubblicazione delle intercettazioni svolte.
Una pesante censura cadrebbe sull’informazione. Anche su quella amatoriale e dei blog (Art.28).
Se quella legge fosse stata in vigore, non avremmo avuto alcuna notizia dei buoni affari immobiliari del Ministro Scajola e di quelli bancari di Consorte.
Se la legge verrà approvata, la magistratura non potrà più intervenire efficacemente su illegalità e scandali come quelli svelati nella sanità e nella finanza, non potrà seguire reati gravissimi.
Si dice di voler tutelare la Privacy: un obiettivo legittimo, che tuttavia può essere raggiunto senza violare principi e diritti.
Si vuole, in realtà, imporre un pericoloso regime di opacità e segreto.
Le libertà costituzionali non sono disponibili per nessuna maggioranza.»
Stefano Rodotà
Fiorello Cortiana
Juan Carlos De Martin
Arturo Di Corinto
Carlo Formenti
Guido Scorza
Alessandro Gilioli
Enzo Di Frenna
Firma la petizione contro il bavaglio: http://www.nobavaglio.it
Sono a rischio la libertà di manifestazione del pensiero ed il diritto dei cittadini ad essere informati.
Non tutti i reati possono essere indagati attraverso le intercettazioni e viene sostanzialmente impedita la pubblicazione delle intercettazioni svolte.
Una pesante censura cadrebbe sull’informazione. Anche su quella amatoriale e dei blog (Art.28).
Se quella legge fosse stata in vigore, non avremmo avuto alcuna notizia dei buoni affari immobiliari del Ministro Scajola e di quelli bancari di Consorte.
Se la legge verrà approvata, la magistratura non potrà più intervenire efficacemente su illegalità e scandali come quelli svelati nella sanità e nella finanza, non potrà seguire reati gravissimi.
Si dice di voler tutelare la Privacy: un obiettivo legittimo, che tuttavia può essere raggiunto senza violare principi e diritti.
Si vuole, in realtà, imporre un pericoloso regime di opacità e segreto.
Le libertà costituzionali non sono disponibili per nessuna maggioranza.»
Stefano Rodotà
Fiorello Cortiana
Juan Carlos De Martin
Arturo Di Corinto
Carlo Formenti
Guido Scorza
Alessandro Gilioli
Enzo Di Frenna
Firma la petizione contro il bavaglio: http://www.nobavaglio.it
lunedì 10 maggio 2010
Qui ad Atene noi facciamo così.

Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in sé stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle - Discorso agli Ateniesi, 461 a.C.
giovedì 6 maggio 2010
Meno male che Fini c'è...

È una manna dal cielo che il buon Fini si sia risvegliato e che il fedele (?) cagnetto Bossi abbia cominciato a rosicchiare anche le caviglie cavalleresche. Complotto, congiura, attentato, tradimento, cospirazione, trama, maneggio, giudici rossi che, a tua insaputa, ti acquistano "mezzanini" da 180 metri quadri. Il novello Cesare si sente le ventitré coltellate nel doppiopetto. Si rotola da sempre nel guano, oggi lo scoprono interamente inguacchiato di merda e tutto quello che sa dire è che gli è stata buttata addosso da qualche "non-ben-identificato" che trama nell'ombra. È ormai chiaro che il vecchio satiro che ci governa ha fatto il suo trionfale ingresso nella peggiore fase della senilità: quella arteriosclerotica. Si aggira disorientato per i corridoi del Palazzo con la patta aperta, grida sbavando come un decrepito suonato; impreca contro il fantomatico attentatore, minacciandolo di bucargli il pallone. Crede che lo vogliano disarcionare ma il cavaliere non si è accorto che, ai suoi piedi, il cavallo (a dondolo) è morto da un pezzo. L'Italia stessa si sta putrefacendo. Fini e Bossi, da bravi nipotini "savi", cercano di ammansirlo come si fa col vecchio nonno rincoglionito che palpa senza ritegno il culo dell'infermiera che gli cambia il pannolone. "Non c'è nessun complotto" ha detto Gianfranco. Ed è esattamente così. È proprio il caso di prendersi per mano e cantare tutti insieme: Meno maleee che Fiiini c'èèèèèèèèèèèèè...
martedì 4 maggio 2010
Ve lo do io Beppe Grillo ~ Andrea Scanzi

sabato 17 aprile 2010
...io sto con Saviano...

Bravo Roberto.
martedì 6 aprile 2010
...presente! (?)...

Fin qui tutto normale. Più sotto, però, ecco spuntare la perla: È considerato presente il deputato che partecipa almeno al 30 per cento delle votazioni effettuate nell'arco della giornata.
Significa, in sostanza, che se ci fossero 200 votazioni in un giorno, uno che partecipasse a 60 di esse sarebbe ritenuto presente.
In sostanza, è come se, su 8 ore di lavoro, io ne facessi poco meno di due e mezza.
Assente? No, no, presente!
domenica 4 aprile 2010
...predatore predato...

Guardo orgogliosamente i miei amici (su piccole librerie costipatissime per lo sforzo, porelle) ben sapendo che per pochi di essi ho speso quanto stampato sulla quarta; e me la ridacchio. Da assiduo frequentatore, ho ormai imparato che le librerie sono sagre di sconti: 15, 20, 25, 30% fioccano ad intervalli regolari, quale indulto per quei carcerati cartacei che protestano nei magazzini. Qualunque sia la casa editrice, sta' certo che, più prima che poi, il libro che cerchi, scontato, lo becchi. Ma cacciare i libri, in generale, non è facile, se si vuol risparmiare le cartucce. Bisogna sapere dove appostarsi. Oggi mi aggiravo nel piano interrato di Mel Bookstore, per esempio. Si sono finalmente decisi a mettere in piedi l'area 50%. Per questo ovviamente mi stanno simpatici. Più di Feltrinelli. Quel numero particolare seguito da un segno di percentuale è come una droga per me: fa sì che il mio cervello liberi endorfine; finisco per non sentire il dolore della sporta stracolma di pagine. Poi c'è il mercatino "tutto a 3 euro", che è grandioso e offre pure i divudì. Ancora, la piccola libreria senza insegna vicino Piazza Navona, dove di tutti i prezzi (ma proprio di tutti) viene stracciata via una metà. Ogni volta che ne trovo uno nella mia lista emetto un gridolino ("uh!") raccogliendolo subito tra le mie braccia. Oggi la caccia è stata buona: sei saggi a metà importo nominale. Li porto a casa, gli do una disinfettata ma un pensiero si insinua nella mia mente: alla fine sono io che caccio loro o sono loro che cacciano me?
lunedì 22 marzo 2010
Chi ha paura muore ogni giorno ~ Giuseppe Ayala

«Il senso civico, inteso come coscienza dell'appartenenza a una comunità, è del tutto ignoto. L'esaltazione dell'individualismo non trova limiti se non nella dimensione della famiglia, unica forma di nucleo sociale riconosciuta, talvolta in modo esasperato. La classe politica viene, perciò, selezionata esclusivamente sulla base di un rapporto clientelare. Il politico più apprezzato non è quello che è stato capace di dare risposte a interessi generali, ma quello che è riuscito a fare più favori, perché è questo che l'elettore pretende.» (pag. 103)
«"Ma tu te lo mangeresti un bambino?" chiesi un giorno a Falcone. "No!" fu la risposta. "Ma che razza di comunista sei!" esclamai. Sembrava, in effetti, di essere ripiombati nei lontani anni Cinquanta.» (pag. 158)
«Lo Stato aveva deciso di fermare se stesso proprio nel momento in cui stava registrando risultati esaltanti. E perché? Perché la mafia ce l'aveva dentro. Si faccia avanti chi è capace di dare una diversa risposta plausibile.» (pag. 175)
Questo racconto autobiografico di Ayala è la storia amarissima di un manipolo di veri e propri guerrieri, molti dei quali hanno espiato con una morte truce il peccato d'esser stati temerari, di aver difeso i propri altissimi ideali, di essersi mostrati integri e determinati a combattere strenuamente una guerra impossibile per il proprio Paese.
Nemo propheta acceptus est in patria sua. Temo che a nessuno, meglio che a loro, quel proverbio si attagli.
Benché un suo pensiero venga riportato in copertina, Paolo Borsellino è solo sullo sfondo di questa narrazione, che si incentra, più che altro, sul rapporto professionale e di fraterna amicizia tra Ayala e Falcone e sulle reazioni al loro lavoro da parte del mondo esterno.
L'aspetto più inquietante e drammatico è l'emergere di una conferma, il consolidamento di quello che, al più, sarebbe solo un sospetto del lettore meno sprovveduto: una buona parte del nostro Stato non vuole combattere la mafia e, a volte, ha addirittura interesse a non farlo.
Ayala, Falcone, Borsellino, e molti come loro, misero in moto una macchina che funzionava bene, fin troppo bene; era efficiente e mieteva vittime. I nemici dello Stato (o coloro che avrebbero dovuto essere considerati tali) sarebbero stati falciati definitivamente, se solo lo Stato avesse voluto tenerla in moto e guidarla a dovere.
Il "fenomeno umano", come Falcone lo descriveva, avrebbe senza dubbio conosciuto una fine se il merito, le capacità, il coraggio di certi uomini fossero stati tenuti nella giusta considerazione.
Così non fu: quei giudici vennero messi al silenzio ed isolati. E, dopo aver letto la storia personale di Ayala, si apprende che, per non morire, "bisogna non essere soli".
domenica 21 marzo 2010
...siamo un milione!...
Ne sparano un'altra. Un milione! Boom! Ve piacerebbe, cari (si fa per dire) destrorsi. Quattro gatti anziani, invece, erano i presenti, per lo più ottuagenari. Rassegnatevi. Altro che i 150.000 segnalati dalla questura. Questo è quello che si legge stasera su Repubblica:
Questa è l'area di San Giovanni affollata, secondo la ripresa aerea:
...che dovrebbe corrispondere più o meno all'area da me identificata in Google Earth:
...e che secondo i calcoli di Google Earth stesso corrisponde ad una superficie di poco più di 11700 mq. Ma abboniamogliene qualcuno in più, anche in via della mia approssimazione geometrica: facciamo 15000 mq.
Ora, io mi chiedo quante persone possano stare, a meno di non voler smettere di respirare, in un metro quadro. Quante? Tre? Quattro? Se quattro, è grasso che cola.
Loro sono stati capaci di ficcarcene 1.000.000 /15.000 = quasi 67. Complimenti!
lunedì 15 marzo 2010
...a tutte le ore...
A tutte le ore pare ci sia un fuoco da innaffiare, un ladro da acciuffare, un malato da soccorrere. E via con la sinfonia. Lampeggia la strada intera sotto i colpi della luce blu roteante. A tutte le ore.
domenica 7 marzo 2010
...barba & sanguisughe...

"Si ricorda, Carmelo, qual era la mansione dei barbieri, una volta, oltre a fare barba e capelli?"
"Ma certo!" risponde prontamente l'uomo in camice blu, "Applicavano pure le sanguisughe alla gente! Ma ci pensa? Erano come dottori!"
Poi si ferma, mi guarda e aggiunge con una bella risata "...e magari la gente moriva!".
venerdì 19 febbraio 2010
...e io pago!...
lunedì 15 febbraio 2010
...chebbotto!...

Considerato che un Megatone corrisponde a 4,2 × 1015 Joule, e che la bomba atomica scoppiata su Hiroshima, di Megatoni, ne valeva 0,0125, se il mio corpicino, tutt'a un tratto, dovesse trasformarsi in energia pura, scatenerei una potenza pari alla bellezza di 8.987.551.787.368.180.000 / (0,0125 × 4,2 × 1015) = 171.191 bombe di Hiroshima.
Che botto! State attenti... vedete di non farmi incazzare.
domenica 31 gennaio 2010
Auschwitz-Birkenau 27/01/2010 - 21/03/2010

Delle innumerevoli foto che ho visto, una mi ha colpito particolarmente: c'è una fila di bambini di non più di sei anni, si tengono per mano, sembrano una scolaresca; hanno i visi allegri, le guance paffute, le piccole chiome pettinate sotto i cappellini, i cappottini ben abbottonati; alcuni sorridono al fotografo, altri sono solo corrucciati per la curiosità, altri ancora parlano tra loro o guardano divertiti le proprie scarpe che affondano nel fango. Accanto ad essi delle donne, anche loro sorridenti. Io indugio sui visi dei bimbi, uno per uno, ne fisso le espressioni e nella mia testa penso di conoscere il loro destino. La didascalia informa che quel piccolo drappello di "inabili al lavoro" (sorrido... i bambini cos'altro potrebbero essere?) sta per essere accompagnato al treno che li porterà alla morte. Uccisi come vermi, appena scesi sulla Judenrampe. Di fronte a quella foto c'è una piccola teca di vetro, in cui è contenuto un vestito minuscolo, rosa pallido. Appartiene ad una bimba di due anni, che sorride, allegra e paffuta, nella foto accanto. Uccisa appena varcati i cancelli del campo.
Bambini: piccoli, rotondi, sorridenti, allegri; uguali a quelli che oggi dormono nei lettini delle stanze a fianco; uguali a quelli che corrono per strada spensierati; uguali ai figli e ai nipoti. Bambini di sessantacinque anni fa, tali e quali a quelli di oggi.
Meditate. Meditate che questo è stato.

mercoledì 27 gennaio 2010
...per non dimenticare...

Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per un pezzo di pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
(Se questo è un uomo - Primo Levi)
sabato 23 gennaio 2010
...zorrobimbo...

giovedì 14 gennaio 2010
...onirismi kafkiani...
«Peccato, Signor L., un vero peccato! Lei se ne rende conto, vero?»
L'uomo che mi era seduto di fronte continuava a ciondolare il capo con aria costernata. Indicando il manoscritto innanzi a sé sulla scrivania, disse: «Lei comprende che questa sua opera, sì, chiamiamola col giusto nome, è tra le migliori produzioni letterarie di tutti i tempi, vero?»
Con un sorriso amaro aggiunse: «Io non so davvero se lei se ne renda conto». Diede un tiro alla sigaretta. Ci furono pochi secondi di silenzio. Mi guardavo attorno interrogandomi su quanto sarebbe durato ancora questo "incontro urgente".
Scosse ancora il capo, incredulo per la disgrazia accaduta.
«Col nostro aiuto, il prestigio della nostra casa editrice, lei avrebbe potuto raggiungere vette di vendita eccezionali e invece, che combina? per un semplice disguido tecnico, una chiamata che non l'ha raggiunta in tempo, il suo tempo», puntualizzò quel "suo" con un proiettile sparato dal suo dito indice, «lei si affida ad un editore minore, uno che probabilmente non ha neanche compreso ed apprezzato l'alto valore del suo lavoro» Scosse ancora il capo. Diede un altro tiro alla sigaretta. Altri secondi di silenzio.
Nel parlarmi, non mi guardava dritto in faccia. Invece la sua testa andava da sinistra a destra e ritorno, gli occhi esploravano il piano della scrivania di tanto in tanto concentrandosi sul monticello di fogli del mio manoscritto. Aprì casualmente la mia "opera", ne sfogliò qualche pagina, si soffermò a leggere, con il cilindro di tabacco tenuto tra le due dita che gli sorreggevano il capo. Vedevo i suoi occhietti fiammeggianti correre da sinistra a destra, e poi riprendere un po' più sotto, sempre da sinistra a destra, e più sotto ancora, stesso verso. Lesse un periodo che doveva essergli nuovamente piaciuto, sorrise leggermente a sé stesso, a conferma dei propri pensieri: un'opera geniale. Continuò ad agitare nell'aria dei no col capo. «Un capolavoro sprecato» disse quasi sottovoce. Non vedevo l'ora che quella mattinata finisse. Mentre mi parlava, lo studiavo: tracagnotto, sulla cinquantina, per essere buoni. Un viso gonfio, due guance cadenti. Tondo come una luna. Più largo che alto, seduto a quella scrivania ne vedevo solo la parte superiore del torso, ma tutto lasciava supporre che al di sotto del piano del tavolo si trovasse un'importante epa; mi chiedevo se toccasse il tappeto con i piedi. Cercai di indovinare di che colore fossero i suoi calzini. Vestiva un abito di un anonimo giallino, una cravatta che nessuno avrebbe mai indossato sul serio e i cui colori cangiavano a seconda della luce, una camicia di un colore scialbo, chiara anch'essa. Fissò gli occhi sulla prima cartella, batte' le mani sulla scrivania, si alzò in piedi e si diresse verso la vetrata sulla destra. Avevo ragione: una grande epa, di quella che i bottoni appena al di sopra della cintola fanno una gran fatica a restare al loro posto. Sbuffò ritmicamente, si fermò ad osservare fuori. La sua piccola e tonda sagoma si stagliò in controluce e lo fece ancora più minuscolo. Fumava. Aspettavo, attendevo che mi lasciasse andare. Sembrava che fissasse un punto particolare, di tanto in tanto si alzava sulle punte, come in un accesso di pensieri. Scosse ancora il capo, si prese il labbro inferiore tra l'indice e il medio che reggevano la sigaretta, tentò probabilmente di elaborare qualche soluzione ma, evidentemente, dopo aver constatato che non ve ne era nessuna, ridacchiò di scontentezza. Tornò velocemente al suo posto, spense la sigaretta frettolosamente nel posacenere ed esalando al ritmo delle parole il fumo rimastogli in gola, in tono deciso, severo e spedito aggiunse: «Lei ha sprecato una grande occasione, Signor L., mi creda. Sarebbe potuto diventare qualcuno, l'avremmo resa una persona ricca e, perché no, ne avremmo tratto il giusto anche noi. E invece...»
La mia colpa, versatami sulla testa dopo l'ingresso in quello studio, stava finalmente colando via, scivolandomi dal capo al tronco, dal ventre alle gambe, fino ai piedi e dai piedi adagiandosi sul grande tappeto persiano sotto la mia sedia. Fu un sollievo quando tese il suo braccino, mi porse la mano e, senza guardarmi, si accomiatò: «La saluto Signor L., buona fortuna». Non sembrava troppo convinto. Strinsi la sua mano, era sudaticcia. Nell'uscire dalla stanza mi voltai e lo vidi riadagiarsi sulla sedia, obliquo, lo sguardo rivolto al soffitto, meditabondo, l'espressione ancora costernata. In quella posizione, le gambe dei pantaloni leggermente alzate lasciavano intravedere i suoi calzini a strisce bianche e rosse.
L'uomo che mi era seduto di fronte continuava a ciondolare il capo con aria costernata. Indicando il manoscritto innanzi a sé sulla scrivania, disse: «Lei comprende che questa sua opera, sì, chiamiamola col giusto nome, è tra le migliori produzioni letterarie di tutti i tempi, vero?»
Con un sorriso amaro aggiunse: «Io non so davvero se lei se ne renda conto». Diede un tiro alla sigaretta. Ci furono pochi secondi di silenzio. Mi guardavo attorno interrogandomi su quanto sarebbe durato ancora questo "incontro urgente".
Scosse ancora il capo, incredulo per la disgrazia accaduta.
«Col nostro aiuto, il prestigio della nostra casa editrice, lei avrebbe potuto raggiungere vette di vendita eccezionali e invece, che combina? per un semplice disguido tecnico, una chiamata che non l'ha raggiunta in tempo, il suo tempo», puntualizzò quel "suo" con un proiettile sparato dal suo dito indice, «lei si affida ad un editore minore, uno che probabilmente non ha neanche compreso ed apprezzato l'alto valore del suo lavoro» Scosse ancora il capo. Diede un altro tiro alla sigaretta. Altri secondi di silenzio.
Nel parlarmi, non mi guardava dritto in faccia. Invece la sua testa andava da sinistra a destra e ritorno, gli occhi esploravano il piano della scrivania di tanto in tanto concentrandosi sul monticello di fogli del mio manoscritto. Aprì casualmente la mia "opera", ne sfogliò qualche pagina, si soffermò a leggere, con il cilindro di tabacco tenuto tra le due dita che gli sorreggevano il capo. Vedevo i suoi occhietti fiammeggianti correre da sinistra a destra, e poi riprendere un po' più sotto, sempre da sinistra a destra, e più sotto ancora, stesso verso. Lesse un periodo che doveva essergli nuovamente piaciuto, sorrise leggermente a sé stesso, a conferma dei propri pensieri: un'opera geniale. Continuò ad agitare nell'aria dei no col capo. «Un capolavoro sprecato» disse quasi sottovoce. Non vedevo l'ora che quella mattinata finisse. Mentre mi parlava, lo studiavo: tracagnotto, sulla cinquantina, per essere buoni. Un viso gonfio, due guance cadenti. Tondo come una luna. Più largo che alto, seduto a quella scrivania ne vedevo solo la parte superiore del torso, ma tutto lasciava supporre che al di sotto del piano del tavolo si trovasse un'importante epa; mi chiedevo se toccasse il tappeto con i piedi. Cercai di indovinare di che colore fossero i suoi calzini. Vestiva un abito di un anonimo giallino, una cravatta che nessuno avrebbe mai indossato sul serio e i cui colori cangiavano a seconda della luce, una camicia di un colore scialbo, chiara anch'essa. Fissò gli occhi sulla prima cartella, batte' le mani sulla scrivania, si alzò in piedi e si diresse verso la vetrata sulla destra. Avevo ragione: una grande epa, di quella che i bottoni appena al di sopra della cintola fanno una gran fatica a restare al loro posto. Sbuffò ritmicamente, si fermò ad osservare fuori. La sua piccola e tonda sagoma si stagliò in controluce e lo fece ancora più minuscolo. Fumava. Aspettavo, attendevo che mi lasciasse andare. Sembrava che fissasse un punto particolare, di tanto in tanto si alzava sulle punte, come in un accesso di pensieri. Scosse ancora il capo, si prese il labbro inferiore tra l'indice e il medio che reggevano la sigaretta, tentò probabilmente di elaborare qualche soluzione ma, evidentemente, dopo aver constatato che non ve ne era nessuna, ridacchiò di scontentezza. Tornò velocemente al suo posto, spense la sigaretta frettolosamente nel posacenere ed esalando al ritmo delle parole il fumo rimastogli in gola, in tono deciso, severo e spedito aggiunse: «Lei ha sprecato una grande occasione, Signor L., mi creda. Sarebbe potuto diventare qualcuno, l'avremmo resa una persona ricca e, perché no, ne avremmo tratto il giusto anche noi. E invece...»
La mia colpa, versatami sulla testa dopo l'ingresso in quello studio, stava finalmente colando via, scivolandomi dal capo al tronco, dal ventre alle gambe, fino ai piedi e dai piedi adagiandosi sul grande tappeto persiano sotto la mia sedia. Fu un sollievo quando tese il suo braccino, mi porse la mano e, senza guardarmi, si accomiatò: «La saluto Signor L., buona fortuna». Non sembrava troppo convinto. Strinsi la sua mano, era sudaticcia. Nell'uscire dalla stanza mi voltai e lo vidi riadagiarsi sulla sedia, obliquo, lo sguardo rivolto al soffitto, meditabondo, l'espressione ancora costernata. In quella posizione, le gambe dei pantaloni leggermente alzate lasciavano intravedere i suoi calzini a strisce bianche e rosse.
lunedì 11 gennaio 2010

Che inizio d'anno di merda!...
domenica 10 gennaio 2010
"Il giardino dorato" - Harry Bernstein

Peccato per la traduzione italiana del titolo. Per essere in linea con il contenuto, sarebbe dovuto essere Il salice dorato (che è ciò che significa il titolo originale The Golden Willow). Spero tanto che Bernstein non si lasci sopraffare dai suoi 100 anni e continui a scrivere ancora e ancora e ancora.
giovedì 7 gennaio 2010
...pleonasmi commerciali...

mercoledì 6 gennaio 2010
"Il sogno infinito" - Harry Bernstein

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