martedì 24 febbraio 2009

sconcertante

In generale è difficile giudicare il valore di un'autobiografia; in questo caso è eccezionalmente difficile. Il mio giudizio positivo si riferisce soltanto al valore istruttivo di quest'opera e non - ma questo è ovvio - al racconto in essa contenuto.
In queste memorie io ho percepito due Höss. Il primo è l'essere umano, un piccolo-borghese che persegue pateticamente, e con un risultato alquanto misero, un intento apologetico: rivalutare la sua persona alla luce di ciò che recentemente si è consumato sotto i propri occhi e della cui gravità egli non sembra rendersi conto alla perfezione. Il secondo (quello che, al contrario del primo, io reputo il vero Höss) è il nazista: il soldatino ligio imbevuto di dottrina militare; il funzionario patologicamente afflitto da senso del dovere; il gerarca fedelmente abbarbicato all'Idea hitleriana quale unica soluzione possibile. Ipocrita e snervante il primo, con la sua concezione tutta teutonica del lavoro, la sua falsa afflizione, i suoi sogni bucolici infranti, la sua famigliola felice e prospera all'interno di un recinto infernale; freddo e spaventoso il secondo, con la sua totale dissociazione, le sue descrizioni asettiche, i suoi resoconti da automa. Nonostante egli stia mettendo per iscritto i propri ricordi durante la prigionia, in attesa d'essere impiccato, non disdegna di dipingere gli omosessuali come dei malati da curare con il lavoro duro, le donne come esseri indegni di fiducia, i prigionieri in generale come animali da fatica, gli ebrei come ebrei, cioè il male del mondo. È realmente convinto che sia esistito un antisemitismo sano e che le politiche del Reich, partite col piede giusto, lo abbiano in seguito avvilito. Il vero Höss, il nazionalsocialista fin nelle ossa, è colui che guarda agli internati come bestie da soma: peccato farle morire d'epidemia se possono compiere ancora un buon lavoro. Quando analizza i comportamenti dei deportati addetti alle operazioni macabre di gasazione, svestizione e cremazione dei defunti (azioni per cui né egli, né i suoi sottoposti avrebbero mai potuto sporcarsi le mani), sembra avere gli stessi occhi di uno zoologo alle prese con le cavie nel suo stabulario. Come già detto, lo stile di quest'opera è mediocre, esattamente come il suo autore, la si legga solo se si ha un vivo interesse storico. Si fa spesso fatica ad andare avanti; non si superano agilmente quei punti in cui, in modo glaciale, Höss dettaglia i massacri copiosi ed efferati.
A fronte della tragedia immane consumatasi pochi anni prima la sua stesura, non credo ci sia altro aggettivo, per definire questo testo, che "sconcertante".

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